Introduzione: lo stereotipo della crudeltà

Criminali senza pietà, matrigne autoritarie, maghi oscuri, assassini psicopatici, persone grottesche.

Se dovessimo stilare una lista di antagonisti, non è difficile delineare l’anatomia del prototipo di crudeltà. Gli antagonisti sono gli “altri”, quelli che pensano malvagio, distorto, e la cui crudeltà necessariamente si riversa anche nell’aspetto esteriore.

Antagonisti che fanno del male il loro marchio, una crudeltà spesso portata all’esagerazione, che fa da contrappunto alla irreale bontà dei protagonisti. Vestono spesso di nero, hanno deformazioni, sono pazzi, non hanno pietà e, spesso e volentieri, sono anche brutti di aspetto.

L’evoluzione della crudeltà nel cinema

Ripensando a quella lista che abbiamo stilato prima, si potrebbe anche tentare di darne un ordine cronologico.

Penso a Crudelia de Mon, a Scar, a Grimilde o, in generale, a tutti quei “cattivi” dei cartoni animati e non solo, dove il prototipo dell’antagonista ha una fisionomia ben precisa e la crudeltà si evidenzia soprattutto nell’aspetto e nell’azione, creando uno stereotipo abbastanza prevedibile.

Andando avanti nella lista cronologica, invece, qualcosa cambia. Non mancano alcuni tratti tipici: l’aspetto fisico non è dei migliori, ma sempre più spesso l’antagonista si nasconde anche sotto le spoglie di una persona apparentemente buona o, per dire una parola che però non mi piace affatto, “normale”.

Non mancano i mostri, mi viene in mente Freddy Krueger (Nightmare – Dal profondo della notte di Wes Craven) oppure Joker, per fare due esempi. Ma accanto a loro ci sono anche Bill (Kill Bill), Hannibal Lecter o Jack Torrance (Shining), che nell’aspetto si direbbero persone del tutto innocue, ma che, in realtà, hanno una crudeltà molto più complessa e persino più mostruosa di una “semplice”, per dire un nome, Ursula (La Sirenetta).

Qual è la differenza?

A mio parere quello che differisce è il “luogo” in cui risiede la stessa crudeltà: prima era legata all’azione, ai gesti e all’aspetto.

Ora, invece, vedo più una malvagità che risiede nella psicologia del personaggio che, secondo me, ha la capacità di essere molto più crudele del classico film “splatter” ormai scontato.

L’antagonista non è il mostro che uccide, ma è il personaggio calmo, astuto, che della parola fa il suo strumento e riesce a distorcere la mente, i pensieri e creare un caos che difficilmente si può districare.

Azione e poi psicologia, mostruosità e poi calma inquietante, paura e poi ansia incessante.

Questa mi pare sia stata l’evoluzione dello stesso concetto di crudeltà.

Genesi della crudeltà

La seconda domanda che ci si potrebbe porre ora è: ma tutti questi antagonisti sono nati crudeli oppure sono diventati così nel tempo? 

Devo dire che fino ad ora non me lo ero mai chiesta. Incontravo l’antagonista e davo per scontato il suo essere crudele a 360°. Così almeno si presentava ai miei occhi.

E forse era così nella prima fase, quando c’era Malefica che mi terrorizzava e mi faceva scappare piangendo in camera da letto.

Perché avevo paura? Perché era crudele?

In fondo, Malefica avrà sì e no tre battute durante il film. Però basta vederla e l’etichetta “crudele” è come stampata sulla sua fronte.

La seconda fase è più intricata. E credo che l’ultimo Joker sia l’esempio più lampante. Vorrei riportare una frase tratta dal film che secondo me è molto esplicativa.

Sai cosa ti capita, se metti insieme un malato mentale e una società che lo abbandona e lo tratta come spazzatura? Te lo dico io cosa ti capita. Ti capita quel c***o che ti meriti!

Sono nati o sono diventati cattivi?

E nella realtà, si nasce o si diventa cattivi?

I cattivi della realtà

Ho iniziato a pensare chi, nella mia vita, ritenessi “cattivo” e devo dire che gli stereotipi non sono comunque scomparsi neanche oggi.

Solitamente, però, quando si parla di crudeltà, di cattivi, finiamo per parlare sempre delle stesse categorie che, in un discorso di questo tipo, potremmo definire i “cattivi per antonomasia”: assassini, violentatori, ladri.

Anche loro, un po’ come la prima categoria in cui prima sono comparsi Scar e Crudelia de Mon, sono più caratterizzati per le loro azioni più che per la loro “storia” o “psicologia” (Di psicologico ci si limita a dire che sono dei malati mentali).

Per questo motivo, ho voluto concentrare l’articolo sull’altra categoria, quella dei cattivi “psicologici” che, in fondo, sono molti di più e li incontriamo nella vita di tutti i giorni. Sono quelli che mi piace definire “i miei cattivi”.

I “miei cattivi” o i cattivi “Psicologici”

Parlare dei “nostri cattivi”, in realtà, non è così facile. È scontato definire la crudeltà di una persona dal punto di vista delle sue azioni: un violentatore è cattivo, un assassino è cattivo, quasi non ci pensiamo mentre li stiamo già etichettando.

Ma come individuare quei “nostri cattivi” che, al contrario, non hanno mai compiuto un gesto estremo ma, ogni giorno, scavano una fossa sempre più grande nella nostra mente e nell’Io profondo?

Credo sia un’impresa molto difficile. Un cattivo, proprio perché “mio”, lo definisco rapportandolo alla mia personalità e alla mia identità. E la mia personalità e identità è diversa da quella degli altri. Quindi è molto probabile che il mio cattivo sia, invece, il “buono” di qualcun altro.

Anatomia del “mio cattivo”

Per evitare di fare esempi su esempi, ho pensato di creare il mio prototipo di cattivo, un cattivo ovviamente inesistente, ma che racchiude tutti i vizi e virtù dei cattivi che ho incontrato durante la mia vita.

Mi prendo la responsabilità di creare anche io uno stereotipo. Ma dopotutto, almeno questo stereotipo è fatto ad hoc per me. E ognuno di noi potrebbe avere il suo.

La chiamerò Ciara, perché sì, il mio stereotipo di cattivo è sicuramente donna. È donna perché con lei faccio paragoni, con lei divento competitiva, con lei tutto diventa una gara.

Ciara ha più o meno la mia età, perché le tappe della sua vita “dovrebbero” essere le stesse che ho compiuto io, anche se lei è sempre un passo avanti.

Ciara, in apparenza, non ha mai avuto un problema grave, una sofferenza troppo forte, una perdita dolorosa: Ciara ha vissuto tanti e piccoli problemi e questo la rende del tutto incapace nel capire i miei problemi, per me più gravi, più forti e dolorosi.

Ciara è così: ascolta, ma distratta, perché intanto sa già che quello che sto dicendo è “esagerato” e di certo dopo mi dirà “capita a tutti, non farne un dramma che c’è di peggio”. Ciara afferma di vivere nella “sincerità”, ma questo per lei non significa dire la sua opinione “oggettiva” e intavolare discorsi stimolanti.

Per lei vuol dire più commentare qualsiasi cosa che secondo lei “non va bene”: non va bene cambiare troppe università, non va bene parlare con gli sconosciuti, non va bene vestirsi in questo modo, non va bene non farsi la ceretta alle braccia, non va bene, non va bene, non va bene.

Per Ciara non va bene, ma mai una volta ha pensato che forse ogni tanto anche lei possa “non andare bene”. Ciara ha sempre ragione. Ciara ha trovato l’amore della sua vita ancora prima di nascere e per questo non riesce a capire come si possa andare a letto con più di una persona e, di sicuro, come si possa andare a letto dopo una sola serata passata insieme. E figuriamoci con uno che non si conosce.

Ciara crede nel matrimonio e se tu non ti vuoi sposare è perché non vuoi rischiare e vuoi fare la strana, ma ti avverte, gentile, che “prima o poi la pagherai perché poi chi ti mantiene?”. Ciara dice “Sei la solita”, “Da te me lo aspettavo”, “Guarda che se bevi così tutti penseranno che sei alcolizzata”. Ciara dice, ma poi non fa nulla.

Sì, Ciara è la “mia cattiva”.

Ciara è nata o diventata cattiva?

Sono curiosa di sapere se anche voi, che ora leggete, pensiate che Ciara sia cattiva oppure vi sembri una persona più che normale. In fondo, lei è la “mia cattiva” e non la vostra. Ed è proprio per questo che, secondo me, Ciara non è nata cattiva, e tantomeno lo è diventata. 

La descrizione del mio stereotipo, credo, è abbastanza chiara: Ciara per me è cattiva perché si scontra con quella che è la mia personalità, la mia identità. Ciara mi dice che sono la solita e per me è cattiva perché io subito mi sento in colpa.

Ciara ha sempre ragione ed è cattiva perché io mi sento sempre in torto. Ciara è cattiva perché entra in conflitto con le mie paure e i miei problemi. Ma probabilmente Ciara è soltanto la mia cattiva e per voi è una delle tante “buone”.

Chi è la vostra cattiva? Chissà, provare a fare il “nostro cattivo” potrebbe essere, oltre che una dimostrazione dell’inesistenza della crudeltà genetica, anche un’ottima terapia per noi stessi.

a cura di Milena Fantoni