Introduzione

L’effetto alone è un bias cognitivo per il quale la percezione di un tratto è influenzata dalla percezione di uno o più altri tratti dell’individuo o dell’oggetto. Un esempio è giudicare intelligente, a prima vista, un individuo di bell’aspetto (da Wikipedia)

Leggendo questa definizione mi viene subito in mente una figura retorica: la sineddoche. Quello che tutti conosciamo come “la parte per il tutto” e tanto piaceva agli scrittori dell’antichità. La parte per il tutto, il tetto per la casa, il bicchiere per il liquido, il bell’aspetto per il “successo” di una persona.

Da questo punto di vista, effetto Alone e sineddoche non sono così differenti: entrambi prendono a campione un solo tratto e attraverso di esso definiscono la totalità di un oggetto o di una persona.

Ma può la parte definire il tutto? Può un tratto rappresentare una persona nella sua interezza?

Effetto Horn ed Effetto Alone

Sempre sulla scia delle dicotomie, anche l’effetto Alone non poteva non avere il suo contrario. E se l’effetto Alone seleziona come “parte per il tutto” un tratto positivo, l’effetto Horn si prende invece la parte negativa.

Negativo o positivo, si tratta sempre di esempi simili a sineddochi, per cui basta solo una caratteristica per definire l’intera personalità e tutto il resto diventa un accessorio facoltativo e quindi trascurabile.

Se l’effetto Horn, però, è facilmente intuibile, a partire dagli stereotipi e, soprattutto, il pregiudizio, riflettere sul suo contrario mi sembra più complesso. È facile “pensare male”, molto più difficili e faticoso “pensare bene”. E quindi cosa ci porta a connettere, ad esempio, bellezza e intelligenza? Che associazioni di idee si instaurano nel binomio eleganza-ricchezza?

L’estetica è la “scienza del bello”

Tutto si riduce, a mio parere, al concetto di bellezza. E a sua volta la bellezza ci riporta alla visione della nostra società, che chiamiamo “globalizzata”, fatta di immagini, norme e modelli da seguire, imparare, a cui adattarsi.

La vista, lo possiamo dire con una certa sicurezza, è il senso più immediato e sicuramente quello a cui diamo più fiducia. È il senso più istantaneo, sempre presente e di cui non possiamo fare a meno, è il senso che “parla sinceramente” perché dire “L’ho visto” è sinonimo di “verità”. Istantaneo, vero, insomma, infallibile. Vediamo e giudichiamo, guardiamo e crediamo, vediamo e pensiamo. “Vedere con gli occhi”, la cosiddetta testimonianza oculare, ha valore di norma, sicurezza, certezza. Il problema non è però solo il dare credito ad una vista, spesso sviata e ancor di più influenzabile e influenzata, quanto più il nostro associare ciò che vediamo a determinate categoria di bellezza.

Quello che vedo è brutto, non mi piace, quindi non va bene. La parte per il tutto e se quella parte non mi piace, anche tutto il contorno subisce la stessa sorte.

L’effetto Alone rientra in un certo senso in questa categoria o, per meglio dire, nei nostri schemi mentali tradizionali, per cui ciò che bello è buono, onesto e, spesso, “vero”. Non sorprende neanche tanto: il famoso detto “Kalos kai Agathos” fa eco fin dall’antichità e il patrimonio artistico e letterario che ci hanno lasciato non sono altro che la netta dimostrazione di questo ideale. E i Greci sono i primi portatori di una filosofia fondata sulla connessione tra virtù morale e bellezza fisica. E la bellezza fisica, spesso, è sinonimo di “perfezione”.

Se è bello, è intelligente

Pensando a questa connessione, bellezza e verità, la parte per il tutto, la definizione di Wikipedia fornisce un esempio di per sé scontato.

Un esempio è giudicare intelligente, a prima vista, un individuo di bell’aspetto.

Non sono molto d’accordo con questa affermazione e credo che l’origine della contraddizione stia non tanto nell’erronea connessione tra virtù morale e bellezza che tanto avevano a cuore i classici, quanto più nella nuova sfumatura a cui noi oggi abbiamo a dato a questo binomio.

L’immagine stereotipata della bellezza e della perfezione non è poi cambiata così tanto a dir la verità. E forse sta proprio nella sua immutabilità, accompagnata però da un radicale cambiamento nel nostro pensare moderno, il motivo per cui non sono d’accordo con la definizione di Wikipedia.

Oggi chi è bello non è subito associato all’intelligenza. Il binomio bellezza-intelligenza è più un’eccezione che una regola. Parlo di associazione, intendo dire “opinione”, non la realtà dei fatti. Quando guardiamo la classica bella ragazza (Per usare qualche stereotipo), alta, magra, sorriso lucente e tutte le virtù obsolete che ci possono venire in mente, non credo che la prima cosa che ci passi per la testa sia “Oh, sarà intelligente di sicuro”.

L’effetto Alone non agisce in questo caso. Sono più abituata a sentire: “Guarda quella, bellissima, piace a tutti, ma sicuro è una capra”. Allo stesso modo non sempre ricchezza è uguale a furbizia o intelligenza. Mi viene in mente l’idea che tutti noi abbiamo dei calciatori: belli, sportivi, famosi, tante belle qualità estetiche. Ma avete mai letto “Le barzellette di Totti?”. Se anche non lo aveste letto, non è difficile sapere cosa si pensi dei calciatori: sono stupidi. E non a caso a nessuno sorprende che stiano con modelle mozzafiato: anche loro stupide.

Ripeto, non parlo della realtà dei fatti. La mia tesi non vuole dimostrare che calciatori, modelle e chiunque abbia una bellezza superiore sia necessariamente stupido. Ma anche qui si parla di stereotipi, un ordine di idee del tutto avulso dalla realtà e che ormai si pensa e si dice più “per dire” e non tanto perché sia vero o lo si pensi effettivamente.

In questi casi, il famoso Kalos kai agathos non funziona più di tanto. Ma la mia domanda è: l’effetto Alone non funziona qui perché sono cambiate le categorie di bellezza o forse perché siamo noi, di fronte ai nuovi standard che ci impone la società dei consumi (e delle immagini) a farci sentire piccoli e inadeguati e, di conseguenza, malignamente gelosi di chiunque possa dirsi vicino alla “perfezione”? 

I calciatori sono ricchi e stupidi, le modelle sono belle e senza cervello. La classica idea banale per cui tutte le Miss Italia e Mondo vogliono “portare la pace del mondo”. È la realtà dei fatti, uno stereotipo oppure un’arma di difesa per chi da principio sa di non poter raggiungere quel grado di accettabilità?

C’è una frase che da adolescente ripetevo spesso: “Quella lì sembra perfetta, è bellissima, è troppo perfetta. Deve esserci qualcosa che non va. Probabilmente è antipatica e noiosa”. Un bel ragionamento filosofico da quattordicenne, è vero.

Però è un modo di pensare che non si allontana, in fin dei conti, dall’associazione calciatori-modelli-stupidità-gelosia. È “troppo perfetta”, una perfezione che io so di non poter raggiungere. Allora entra in gioco il mio sistema di difesa, del tipo “Vabbè dai bene, sei bellissima ma non stai simpatica a nessuno. Allora ho ancora una possibilità”. Se va bene non ci ho manco parlato con lei.

Sembra che dobbiamo darci una sorta di premio di consolazione. La nostra società ci vuole perfetti e per essere perfetti ci fornisce uno schedario con le indicazioni da seguire e con gli elementi indispensabili da possedere. Se manca qualcosa, sei fuori; se non sei perfetto, fattene una ragione. E la nostra società, per quanto la chiamiamo globalizzata nell’idea di voler dare a tutti gli stessi diritti, non è una società di tutti, è la società dei pochi che se lo possono permettere. La società di quelli che lo schedario lo hanno seguito per bene o lo hanno ricevuto in regalo. Per merito o fortuna “divina”, questo non importa.

Riflessioni

Mi piace essere un po’ catastrofica, lo ammetto. E forse sì, non penso ci sia una soluzione. Ma non si tratta della fine del mondo, e neanche di passiva accettazione. Il nostro mondo è fatto di sineddochi, ma questo non significa necessariamente che siamo degli esseri mostruosi superficiali che vivono all’insegna della bellezza e del successo.

Che il mondo sia di pochi e non di tutti è la mia opinione da pessimista sconsolata. E sembrerebbe sempre tutto ridursi di nuovo alla dicotomia “tutto o niente”, “ricco o povero”, “bello o brutto”. La fine del mondo.

Ma se invece iniziassimo a studiare questi meccanismi da cui cerchiamo di allontanarci, se iniziassimo a prevederne i meccanismi e le strategie, chissà che, un giorno, quello che sembrava essere la tragedia umana, non diventi un arma a doppio taglio. Ci hanno fornito dei brutti strumenti, è vero. Ma visto che ormai li abbiamo, meglio saperli usare e giocarci.

Ci hanno dato la “parte”, ora pensiamo al “tutto”.

a cura di Milena Fantoni

2 commenti su “L’effetto Alone: tra inganni e pregiudizi della nostra mente”

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